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giovedì 16 agosto 2012

Le Vibrazioni: Torneremo a vibrare parola di Verderi

da "Il quotidiano della Basilicata"

Torneremo a vibrare parola di "the wizard" Verderi 



di Francesco Altavista 




Melfi – A quasi dieci anni dal singolo che lì portò  al successo  “ Dedicato a te”,   il gruppo “ Le vibrazioni”  stanno passando un momento davvero particolare, uno di quelle fasi della crescita di una band che annuncia cambiamenti importanti. Proprio nel bel mezzo di questo turbamento artistico con il ritorno dello storico bassista Marco “garrincha”  Castellani , “ Le vibrazioni” saranno in concerto a Melfi il giorno di Ferragosto. In anteprima per “ Il quotidiano della Basilicata”, Stefano “ the wizard” Verderi fantasia e chitarrista della band  si concede per una ‘intervista.
Stefano, per la  prima volta “ Le vibrazioni” pubblicano un “ best of” dal titolo   “ Come far nascere un fiore” nel 2011 , l’anno prima l’ultimo album di inediti “Le strade del tempo”. Questi due passi e le tante voci preoccupano e impensieriscono un po’ i fan. Come sarà il futuro de “ Le vibrazioni” ?
“ Come far nascere un fiore” è una raccolta  di tutti i nostri successi, radiofonici se non altro, da qui ci siamo un po’ fermati. Poi è tornato il bassista originale, lo storico de “ Le vibrazioni” Garrincia, abbiamo deciso di andare in tour con quello che poteva essere il nostro “best of “, perché si creava la formazione originale dei primi dischi. Abbiamo voluto riprendere vecchi pezzi che non suonavamo da tempo e riproporle ai fan.  Di quello che accadrà più avanti, non ci preoccupiamo troppo. Pensiamo ai  live che sono sempre un modo diretto di comunicare con la gente, per quanto poi la scaletta possa essere la stessa, ogni concerto è a sé, noi reagiamo come reagisce il pubblico, il live è sempre carico di emozioni, non è come fare un disco, portare in giro i brani dal vivo, significa suonarli con un’energia superiore. Questo  è quello che ha caratterizzato “ Le vibrazioni” sin dall’inizio.



Tra le tante voci , si parla dopo questa raccolta del vostro abbandono alla major Sony.  Perché questa scelta ?    
I contratti  scadono, si rinnovano oppure si va a cerare da un’altra parte. Io penso che noi siamo artisti e musicisti indipendentemente dai contratti. Sicuramente “ Le Vibrazioni” possono fare una pausa , fare un disco fra cinque anni. Siamo dei musicisti e chi fa questo mestiere , o incide dei dischi o fa dei live. Noi stiamo suonando dal vivo, quando si tratterà di fare un disco, valuteremo quale è la situazione migliore per farla. Visti i tempi non è detto che stare con una major possa portare più vantaggi, oggi il nome è abbastanza conosciuto tanto da farci muovere anche da soli eventualmente.
Una  delle vostre capacità  però è stata quella di arrivare al grande pubblico. Il rock in Italia sembra essere relegato alla nicchia a volte anche per una scelta dei gruppi  penso ai Marlene o Aftherhours. Diventare indipendenti potrebbe nel contempo relegarvi alla nicchia come questi gruppi da cui vi siete staccati nettamente?
Questo discorso è un po’ relativo. Il  nostro nome è certamente conosciuto ma obiettivamente più per le cose che abbiamo fatto in passato che per le cose che stiamo facendo adesso. Ultimamente non siamo così esposti mediaticamente, come lo eravamo nel 2004, quando siamo andati a Sanremo, vinto il “festival al bar”. I tempi sono cambiati, ci sono gruppi che sono più di moda passeranno anche loro. E’ un ciclo, una ruota che gira. L’importante è essere coerenti con sé stessi. Noi arriviamo da quel mondo lì, facevamo da spalla agli Afherhours, eravamo i loro tecnici dodici anni fa, siamo cresciuti nell’ambiente milanese.  Noi siamo comunque cresciuti nel rock italiano che è vero è rimasto di nicchia, un po’ per loro scelta ma certamente non spetta a me stabilirne il perché. E’ comunque tutta gente che è passata per Sanremo, quindi forse un tentativo di uscire dalla nicchia è stato anche fatto. Il mondo del rock alternativo in Italia è un po’ con i paraocchi, se tu fai rock vendi poco, c’è poca gente ai tuoi concerti , sei figo, sei rock se invece vendi un po’ di più , hai più risonanza mediatica , fai schifo e non sei più rock. Noi abbiamo avuto penso il merito di aver aperto le strade verso i media  dei gruppi rock. Non siamo dei paladini ma cronologicamente abbiamo aperto questi canali dove prima andavano solo i cantanti pop, singoli tra l’altro.


Si può fare ancora rock in Italia ed essere ascoltato dal grande pubblico?
Il rock nasce fuori dall’Italia, significa riprendere sonorità straniere comunque, noi ci siamo rifatti alle sonorità anni 70 per esempio. Mischiarle poi con la melodia e il cantautorato italiano, se tu quindi prendi i Led Zeppelin e li mischi con Battisti viene fuori sicuramente un rock italiano di qualità. Si tratta di influenze naturalmente, noi abbiamo un cantante come Francesco che è paragonabile ad un cantautore e poi c’è un band che riprende un po’ le sonorità modernizzate degli anni 70. Il rock bisogna riportarlo  nell’ambiente in cui si vive, nella Londra degli anni 60 era più facile vivere dannati. Si può essere rock star ma non  ricalcando  gli eccessi delle rock star del passato, in un certo senso significherebbe scimmiottare. Il musicista rock non deve vivere in un mondo a parte,poi è bello pensare che il musicista viva in una bolla, ma questa   bolla deve stare  in questo mondo  e in tutte le problematiche di oggi.
Sei soprannominato “ the wizard”e sei  tra i migliori chitarristi d’Italia. Come cresce un chitarrista rock? Hai mai pensato ad un disco da solista?
 Il chitarrista rock deve bilanciare la sperimentazione e stare su certi standard. Non si può prescindere dai padri. Agli standard poi bisogna aggiungere qualcosa. Un disco solista no, mi piacerebbe collaborare con altra gente, scrivere per altri. Per misurarmi con me stesso, per sperimentare nuovi sound, non come solista. Ho il sogno di creare un sound nuovo, di far parte di un movimento che risvegli un po’ un senso della musica. Io penso che la musica in questo momento sia un po’ atrofizzata in Italia , bisogna ricreare un po’ il fermento che c’era a Milano negli anni 90.
Cosa è la Bellezza?
 La Bellezza è ciò che appaga lo spirito.   
        

mercoledì 15 agosto 2012

Sempre Nomadi: Beppe Carletti novità e tradizione

da "Il quotidiano della Basilicata"

Beppe Carletti, novità e tradizione





di Francesco Altavista 




Rionero in Vulture – Dopo quel terribile 7 ottobre del 1992, quando dopo una malattia muore Augusto Daolio ad appena 45, si penso che i “ Nomadi “ avessero scritto la  parola fine. E invece la storia continua fino ad oggi e saranno in Basilicata con due concerti : il 13 agosto a Rionero in Vulture piazza “XX settembre”  e quattro giorni dopo , il 17 a Tolve in piazza “ Giovanni Delfino” .Con 73 album pubblicati , sette milioni di dischi venduti in quasi cinquant’anni di attività, i “ Nomadi” e la loro filosofia resistono ai cambiamenti: l’ultimo l’addio di Danilo Sacco e l’arrivo del giovane Cristiano Turato.  La costante sin dai primordi  si chiama Beppe Carletti che in anteprima si concede ad un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”. 
Maestro, parliamo subito delle novità.  Partiamo dal  nuovo disco previsto per ottobre. Dopo settantuno album pubblicati, cosa vorranno dire i Nomadi al loro pubblico?
E’ un disco di dieci inediti con il quale si presenta il nuovo cantante con noi già  da sei mesi, Cristiano. Questo è il suo album d’esordio, io credo che sarà ben accolto come sta avendo successo nei concerti, perché è un bravo ragazzo, merita, ci crede e a lui è  arrivata una grande occasione nella vita, certo non capita tutti i giorni per un ragazzo che cantava con il suo gruppo e si esibiva in piccoli locali, trovarsi in una situazione così. Ti posso anticipare che sarà un album molto rock.


Cristiano Turato è il nuovo frontman dei Nomadi. Come  un 39enne semi sconosciuto diventa  “copertina” di una delle band più longeve della musica Italiana, presentato proprio nel ventennale della morte di Augusto ?
 L’abbiamo scoperto per caso, da un cd che ci avevano dato in giro, ne raccogliamo tanti. Abbiamo ascoltato questa voce, siamo andati a vedere su youtube come si presentava, ci è piaciuto molto. Lui conosceva pochissime canzoni dei Nomadi, questa è stata una cosa importante perché interpreta a modo suo senza scimmiottare. L’affiatamento cresce giorno per giorno  ed è già ad un buon livello. C’è poi un insieme di intenti bellissimo che ha portato a questo disco. E’ un disco della svolta, con una nuova voce che non c’entra ne con quello che c’era prima né con Augusto.
Maestro, la novità più triste. Danilo Sacco è stato nel cuore di tutti i fan dei “Nomadi”. Cosa è successo?La storia dei Nomadi era troppo anche per Danilo?
Danilo mi ha detto: voglio mettermi alla prova , con i Nomadi è tutto facile, voglio vedere da solo cosa riesco a fare”. Queste sono state le sue parole. Non si può dire ad una persona di rimanere quando ha altre idee quindi lui ha intrapreso  la carriera da cantante solista e a noi non bastava che dirgli: “ in bocca al lupo”. La storia dei Nomadi è una storia responsabile, Danilo non credo abbia problemi a sopportarla, il fatto è che  si sa sempre quello che si lascia e non quello che si trova, la sua scelta va rispettata , in bocca al lupo a lui e in bocca al lupo a me. In tanti hanno scelto di fare dopo il gruppo una carriera da solista, c’è chi è riuscito di più e chi di meno, chi è tornato indietro come Piero Pelù e Ghigo , però alla fine sono sempre minestre riscaldate, dopo che intraprendi una nuova strada è difficile e insensato  tornare indietro.
C’è un’altra novità. I “ Nomadi” lasciamo  la Warner dopo 20 anni. Perché intraprendere questa nuova strada di politica musicale?
 Io credo che quando arrivi ad un certo punto una casa discografica non può fare più di tanto. Ho deciso di mettermi in proprio, ho una mia etichetta, ho un distributore importante nazionale e si cammina con le proprie gambe, dopo tanti anni credo si possa fare, non ho la pretesa di essere più bravo di una major, ma io voglio camminare con le mie gambe e mi diverto anche in questo nel controllare tutto e  decidere a pieno  quello che voglio fare.


Tutte queste novità  sono il segno che i “ Nomadi” sono una band viva che continua a fare musica dopo quasi 50 anni di carriera. Come fa lo spirito dei Nomadi a resistere nonostante tutto ?
Le canzoni sono un collante incredibile e poi il nostro modo di essere semplici. Anche se cambiano le persone sul palco lo spirito rimane, è uno spirito incredibile che aleggia  tutte le sere sul palco ed aggiungo insieme a questo aleggia anche lo spirito di Augusto che è sempre con noi in questo viaggio.  Io sono il più anziano del gruppo, ma alla fine non c’è per chi viene sul palco dei Nomadi niente da raccontare, basta salirci una volta e ti rendi conto subito di tutto. Non avrei mai pensato di portare avanti  questa storia alla soglia ormai del cinquantesimo. Credo che anche l’ingresso di  Cristiano significa continuare la storia , è un po’ come un qualcosa che si tramanda da padre in figlio.
Insieme allo spirito dei Nomadi però non invecchia nemmeno Beppe Carletti.Ha scoperto la fonte dell’eterna giovinezza?
 E’ la musica in mezzo alla gente. Ho sempre cercato di fare quello in cui credevo, anche sbagliando. Ho amici meravigliosi con me sul palco che mi aiutano, questo è bellissimo. In 50 anni di carriera, ne ho viste tante di cose, di personaggi arrivare e poi cadere, io  sto sempre qua in piedi è questo mi da forza. La verità è che mi diverto un casino, io faccio le cose che mi piacciono. Vivere con una passione con la quale lavorare è il massimo che un uomo può pretendere.
Quasi in conclusione, vorrei una breve battuta sul “Concerto per l’Emilia” nato da una sua idea. Quali riflessione si può fare ora dopo le tante polemiche ?
E’ stata una cosa veramente bella e sentita. Quello che si respirava nell’aria era incredibile, emozione, emotività ed energia. Se qualcuno si è lamentato per un motivo o per un altro, è un problema suo. Io sono soddisfatto di quello che ho fatto. Una grande soddisfazione anche per la straordinaria partecipazione degli artisti. Vedo poi che la solidarietà per l’Emilia arriva da tutta l’Italia, per queste cose è bello essere italiani
Cosa è per lei la Bellezza?
La Bellezza non è visibile né quantificabile, la Bellezza è dentro. 

martedì 14 agosto 2012

Giuliano Palma, The King : " Sul palco sputo l'anima"

da " Il quotidiano della Basilicata"

Intervista a Giuliano Palma 
The King: " Sul palco sputo l'anima" 



di Francesco Altavista 


Policoro – E’ stata una manifestazione importante e piena di spunti culturali, un esempio di cosa si dovrebbe fare per rilanciare non solo la Basilicata ma il sud, questa sera i cinque giorni di musica e di arte del festival “ Blues in town” di Policoro  si concludono con il concertone finale del grandissimo Giuliano Palma con i Bluebeaters.  Il front man “ex casinò Royal”, Giuliano Palma   detto “The King” si concede per un’intervista in anteprima per “ Il quotidiano della Basilicata” 
Maestro, come si spiega il grande successo specie nei live, di questo progetto artistico “ Bluebeaters” che dura ormai da diversi anni?
Non lo so neanche io. Il mio credo è questo, io anche se non sto bene , sul palco cerco sempre di sputare l’anima, perché quando hai l’attenzione di una platea questo bisogna fare. A me non piacciono gli artisti meteoropatici, del tipo “ io sta sera non ho voglia”. No! Tu la voglia te la fai venire, dal vivo bisogna dare il massimo. Forse per questo la gente si è affezionata a me e ai Bluebeaters, cambio tre camicie a serata, indipendentemente dalla temperature, questo significa qualcosa. Poi noi, io per primo siamo veramente malati del suono il levare, della sincope, siamo posseduti dallo Ska.
Di te Giuliano, prima dei “ Casino Royal” si conosce davvero poco. Ti chiedo dal punto di vista strettamente personale questa possessione da parte dello ska e della Giamaica, quando e perchè nasce?
Io ho ascoltato veramente tantissima musica e questo mi ha dato un background  molto vasto. Il primo input sono stati i miei genitori con la musica napoletana, io sono figlio di napoletani. Loro hanno sempre cantato e  fin da bambino ho assimilato tantissimo. Nell’ascoltare la musica giamaicana ho riscontrato diverse  similitudini con le melodie napoletane. Evidentemente mi ha sedotto la melodia  dell’infanzia insieme ai ritmi ballabili che a me piacciono tanto e sono diventato un fanatico dello ska ma non solo, mi piacciono un sacco di cose. È stato bello dedicare un progetto a questa musica insieme ad amici che avevano la stessa passione, in futuro potremmo fare altre cose.
Hai unito poi il ritmi dello ska alla grande  musica italiana del passato.  Come si collegano le due culture apparentemente così distanti? E fare cover non ha limitato la vostra creatività di grandi musicisti?
Si collegano con la voglia di tirare fuori  qualcosa che è dentro di te. A quei  tempi si arrangiava molto con l’orchestra, c’era  la musica reale, ora fare un disco con gli strumenti è molto costoso e si preferiscono  suoni campionati. Io vengo comunque sedotto dal periodo storico degli anni 60 -70 perché veramente avevamo degli arrangiatori pazzeschi e si registrava tutto in orchestra.
I Bluesbeaters si sono creati con membri che avevano alle spalle già altri anni di musica con le rispettive band. Tutta gente con il proprio progetto e che con i Bluesbeaters veniva fondamentalmente a divertirsi, all'inizio facevamo una decina di concerti all’anno. Le cover era il modo più semplice per suonare insieme e fare il nostro omaggio alla Giamaica. Mettersi a comporre sarebbe stato folle, perché ognuno esprimeva la sua creatività nelle proprie band, io per primo. Poi ci abbiamo preso la mano, da un concerto siamo passati alla tournée, da questa poi si è fatta un disco, poi quattro e poi tutto il resto.


C’è però un disco, l’ultimo in cui ci sono degli inediti, “ Combo” del 2009.  Cosa è successo dopo questo disco che sembrava una svolta ? Perché sono passati tre anni senza fare un nuovo album?
In “ Combo” abbiamo inserito quattro inediti che  in realtà come dici  dovevano essere il preludio ad una sorta di svolta. L’idea di suonare per sempre le cover per esempio a me non piace, doveva essere un esercizio di stile che è andata anche troppo più in là di quello che pensavo all’inizio, poi alla fine dopo tanti concerti,  diventa difficile dire : “ io smetto”. Siamo arrivati ad un punto in cui bisogna cambiare, è dal 2009 non facciamo dischi proprio perchè dobbiamo capire bene cosa fare. Io sto preparando un progetto solista, un disco di inediti. Ho voglio di esprimere la mia creatività, ho voglia di comporre. E poi in questi anni  ho cantato le canzoni che avevo nel cuore, quelle che sono ricordi d’amore, d’infanzia . Questo progetto è andato troppo oltre, direi di metterlo in stand bay, fare altre cose  e poi magari ritrovarsi.


Non ti chiedo anticipazioni sul tuo nuovo disco , so che non ne puoi dare.  Ti chiedo però  se puoi dare delle anticipazione sulle collaborazioni del tuo nuovo album. In particolare ci sarà posto per la bellissima Nina Zilli? Permetti la battuta ma vista la vostra amicizia e il tuo soprannome “the King” ,  lei potrebbe essere “the Queen” ?
Avrò un po’ di collaborazioni che già si erano affacciate in “Combo” tra cui anche Samuel dei Subsonica, anche lui un amico. Sarà un disco che sarà un po’ retrò , anni 60, più soul ,non completamente ska, non sarà una cosa sconvolgente non suonerò country per intenderci. Una canzone di Nina Zilli ci sarà, che lei sarà nel disco a cantare non posso dirlo e ovvio che sarebbe un piacere ma ultimamente facciamo molta fatica a ritrovarci perché anche lei è in super attività, sicuramente in fase di composizione una canzone a firma Zilli ci sarà. Noi siamo molto legati, siamo amici da anni, per questo c’è molto feeling. Lei più che regina è la mia principessa, adesso è regina ma regna per i fatti suoi. Abitiamo anche abbastanza vicini, la sua presenza è nell’aria ma ora vediamo, fare un altro  duetto sarebbe davvero bello.
Cosa è la Bellezza?
 La Bellezza è un moto  armonico di sfumature.   

lunedì 13 agosto 2012

Tutto cambia con la brigantessa Teresa De Sio

da " Il quotidiano della Basilicata"

Tutto cambia con Teresa De Sio
la brigantessa e il quartetto Hulan 

di Francesco Altavista



Viggiano  –La rassegna dell’arpa Viggianese  organizzata dall’assessorato al turismo e spettacolo del Comune di Viggiano e diretto da Vincenzo Zitello è sempre di più un evento imperdibile di arte che fa brillare il cuore della Val d’agri. Una luce sovrasterà la valle oltre a quella del Centro Oli per cinque giorni ( dall’uno al cinque), ma il 4  tutto si tingerà di una magia che unisce tradizione e contaminazione, ci sarà il concerto della strepitosa Teresa De Sio  con  il quartetto “Hulan” della Mongolia. In anteprima Teresa De Sio si concede ad un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”.
Teresa , sarà in Basilicata due volte con lo stesso spettacolo, a Viggiano  il 4 e Venosa il 5. Come nasce questo spettacolo con le suonatrici della Mongolia?
Questa idea nasce già qualche anno fa, perché ho partecipato ad una vera e propria impresa, in cui diversi artisti italiani hanno collaborato con l’orchestra nazionale mongola, l’orchestra” Morin Khuur”. Questa orchestra composta da oltre 40 elementi è venuta in Italia ed abbiamo insieme a loro fatto alcuni concerti, per l’esattezza, ho partecipato io ,Franco  Battiato, Mauro Pagani e anche in una tappa Cristiano De Andrè perché uno dei pezzi strumentali che questa orchestra suonava era “Creuza de Ma” di Fabrizio. Il rapporto con questa orchestra è stato molto forte, molto bello  perché suonavano degli strumenti della tradizione mongola tra questi il “ Morin Khuur” che per capirci è una specie di incrocio tra un violino ed un mandolino. Ciò che farò in Basilicata  è uno spettacolo con un  quartetto di artiste che faceva parte dell’orchestra. Ci sarò io con la mia chitarra, Sasà Flauto il mio chitarrista ed Er la mia violinista. In più il quartetto dei loro strumenti.
Un matrimonio tra il sud Italia colto della sua voce e i suoni della Mongolia, cosa ne nasce? Cosa ci si deve aspettare?
Posso dire che uno dei motivi di questa unione è anche il fatto che c’è un’antica tradizione, delle nostre parti, del sud Italia, del napoletano e in particolare  di Torre del Greco, e  riguarda   i pescatori di corallo che fino al 1700 usavano pescare il corallo e poi attraverso una complessa e litura  strada via terra portavano il corallo in Mongolia. In questa terra il corallo è  un gioiello che nel buddismo assume dei significati molto forti.


Teresa De Sio nell’immaginario è un po’ come una bella fata della taranta, un’interprete avvenente della magia bianca o nera dell’antica musica. Quale è il suo rapporto con il tarantismo sul quale ha scritto anche il suo primo romanzo?
Io sono entrata nel mondo della musica salentina e della mitologia del morso del ragno prima dalla porta dello studio accademico, io ero iscritta all’università e facevo antropologia ed ho avuto la fortuna di incontrare insegnati  e libri che si riferivano a quel mondo. Contemporaneamente già cantavo  con l’ensemble dei “Musicanova”. Ho studiato per  molto tempo il tarantismo  ma poi ad un certo punto questa conoscenza è diventata  così profonda che non mi bastava più suonarla e cantarla all’occorrenza ed ho scritto il mio primo romanzo “ Metti il diavolo a Ballare”.
Tante collaborazioni nella sua carriera, ma questa sua anima un po’ maledetta che viene dalla taranta come si è confrontata con il mistico e religioso Giovanni Lindo Ferretti ( ex leader dei CCCP, CSI e PGR)nel 2005 con il progetto “ Craj” che è diventato anche un film pluripremiato?
 Ho cercato Giovanni per questo spettacolo che si chiamava “Craj “, volevo mettere in scena qualcosa di devozionale nei confronti dei grandi cantori della tradizione pugliese, c’erano tutti i grandi vecchi che non sono mai stati musicisti puri ma contadini e braccianti. Chiesi a Giovanni Lindo di diventare il mio compagno di viaggio, di interpretare insieme a me un ruolo. Il rapporto con lui è stato molto interessante e piacevole . Questo spettacolo per noi è stata  un’impresa faraonica, 36 persone su quattro palchi ,più un cavallo vero, perché Giovanni Lindo è anche un cavaliere ed entrava dal pubblico con il cavallo, quindi uno spettacolo complesso ma molto forte.
L’ultimo album è “ Tutto cambia”, dove riprende un successo della grandissima Mercedes Sosa. Ancora contaminazione e grande arte. Con questo lavoro in cosa ha voluto sorprendere il suo pubblico?
Tutto cambia è un disco in cui ho cercato di far convivere le mie tre anime fondamentali, che sono le tre anime che mi porto da sempre. Sono quella legata alla musica popolare, quella legata alla canzone di autore e quella legata al Rock che è la mia musica di formazione. Cerco di far convivere più dei precedenti le mie facce, mi piace dire che è un disco polifonico perché il mio sguardo è uno sguardo multifocale sul mondo.



Una battuta quasi in conclusione, Teresa De Sio si sente una brigantessa?
Sì! Brigantessa è un titolo che mi è stato consegnato da chi mi segue anche in rete.  Io credo molto nel brigantaggio intellettuale che significa mantenere l’intelligenza sveglia e vigile, cercare di correggere i molteplici mali del mondo nel quale viviamo specie in Italia.
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è dinamismo.  
              

giovedì 9 agosto 2012

Parla un ex venditore di povertà :Quando una onlus diventa un guadagno

da " Il quotidiano della Basilicata"


Quando una onlus diventa un guadagno 



Viggiano –Non è una storia inventata ma è uno studio romanzato di una realtà,quella delle grosse Onlus  che  si rivolgono a delle imprese  per cercare affiliati e fondi. E’ un  libro interessante  ad opera del giovane lucano Francesco Petrone;  porta un titolo esaustivo e forte  se si guarda all’argomento in sé, “ Quando una onlus diventa un guadagno. Tecniche per arricchirsi salvando i bambini" . Ma non è tutto, la grande contraddizione  del guadagnare sfruttando le immagini della povertà  è anche il pretesto per raccontare una società fatta di giovani precari alla ricerca disperata di un lavoro in un mondo schiavo di un capitalismo selvaggio.  Francesco Petrone  è nato il 30 ottobre del 1981 a Marsicovetere ma è di Viggiano, ha avuto modo di  confrontandosi con diverse realtà attraverso i tanti viaggi,  ha studiato filosofia a Napoli e Scienze Politiche a Bruxelles, attualmente sta completando un dottorato preso l’università di Barcellona. Ha svolto i più svariati lavori :come  traduttore ( conosce oltre all’Italiano altre quattro lingue), interprete, organizzatore di eventi , qualche mese ai  Call center e naturalmente in un’impresa ingaggiata da una grossa Onlus. Questo il periodo,più di un anno, di studio antropologico e poi di realizzazione del libro, mesi nei quali Francesco prima di lasciare diventa anche uno dei migliori “ dialogatori”  o “venditori di povertà” ( espressione coniato da lui stesso nell’opera )   d’Italia. Per saperne di più della sua storia personale e del libro molto apprezzato tanto da farlo partecipare  al programma Rai “ Uno Mattina”, parliamo con Francesco Petrone in un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”.   



Prima di parlare del tuo lavoro sulle onlus, una curiosità.  Hai due lauree, un dottorato e parli cinque lingue, cosa ti ha spinto a studiare così tanto ?
E’ un po’ una passione e poi perché mi sentivo sempre un po’ incompleto a livello di formazione personale. Con una laurea in filosofia   la prospettiva principale  è quella dell’insegnamento e in questa epoca di crisi non è che sia proprio uno sbocco garantito. Mi piacciono le relazioni internazionali e le scienze politiche, ho approfondito questi studi  a Bruxelles , un aspetto importante è il fatto che mi piacciono le lingue e quindi ho potuto viaggiare, studiare e lavorare allo stesso tempo. Questa esperienza all’estero è stata importate per imparare le lingue. La possibilità di stare a contatto con diversi ambienti ti consente di capire come funzionano i paesi diversi dal nostro. Si tratta di esperienza fuori per affrontare in modo più consapevole le difficoltà della  terra propria.    
Cominciamo a raccontare la tua storia.  Come un ragazzo pluri -qualificato  si ritrova in una onlus a lavorare come venditore di povertà?
  Dopo aver vissuto all’estero , nel 2008 ho deciso di tornare in Italia e cercare di ambientarmi nella mia nazione. Sono arrivato  a Roma ed ho cominciato ad inviare curriculum un po’ ovunque e tra le prime risposte  e proposte ho trovato questo colloquio  perché pensavo che fosse più attinente ai miei studi. La mia idea era quella di cominciare dal livello più basso quello del dialogatore e poi di occuparmi anche dei progetti, il settore delle Onlus mi interessava. Poi in realtà ho scoperto che  non ero contrattato direttamente dalla onlus ma da un’impresa di marketing australiana . Si occupava di marketing face to face, nelle piazze delle grandi città, cercando sostenitori per i progetti umanitari. Dopo un po’ mi sono scontrato con una realtà opposta a quello che mi aspettavo all’inizio, poi da lì è nata anche un po’ una crisi di identità per quanto riguarda l’attività stessa delle grandi onlus.         











Quando è iniziata questa sorta di crisi di  identità?In che termini  hai scoperto il paradosso?
Dopo un po’ già avevo capito come funzionava il tutto. Si cercava  di approfittare più possibile dell’immagine di chi veramente soffre come i bambini dell’altra parte del mondo per arricchirsi. Questa impresa è caratterizzata da un sistema piramidale per cui chi sta alla base ogni volta che trova un nuovo sostenitore fa guadagnare una percentuale a chi sta su. Il capo che era colui che dirigeva l’ufficio, prendeva queste percentuali ed arrivava a redditi mensili  anche  di 30 mila euro al mese. Con il tempo si poteva far carriera, far aprire altri uffici, arrivare a livelli superiori e guadagnare anche diversi milioni di euro. Esiste anche una prima contraddizione perché  questa impresa  ha sia un settore legato  alle onlus ( le più grandi quelle che possono pagare i servizi)sia uno  legato al settore puramente profit , dedicato alla vendita diciamo classica  di beni di consumo. Mi sono trovato in questa situazione all’inizio non volendo, poi per me è diventato uno studio antropologico. Non avevo previsto di scrivere un libro ma volevo studiare questo fenomeno che mi sembrava assurdo, sono rimasto un anno e qualche mese per capire bene il meccanismo che c’è alla base. Sono rimasto questo periodo un po’ per questo motivo, un po’perché nonostante le mie qualifiche non riuscivo a trovare occupazione.
Uno dei  punti fondamentali del libro è proprio questo studio antropologico – sociale  anche sulla condizione giovanile. Che tipo di persone lavorano in questo tipo di imprese?
Le persone che lavorano all’interno di queste imprese, sono persone provenienti da diversi ambiti. Ho dedicato un capitolo ad un mio amico che lavorava come fattorino , poi l’impresa ha chiuso ed è arrivato a lavorare da noi senza avere più alternative, non lo chiamava nessuno. C’erano altri che erano laureati con master all’estero, era un ambiente eterogeneo. Il profilo della persona che viene ricercata in questi ambienti è la persona che non fa molte domande e va lì per vendere e guadagnare con la prospettiva di fare tanti soldi, per generare profitti grandi e con il tempo aprire suoi uffici. Non è una prospettiva realistica perché non tutti ci arrivano. Molti si fermano al terzo gradino, c’è tutto un percorso, descritto nel libro,  per diventare manager, uno su cento riesce a farlo. Ci sono delle tecniche affilate che bisogna imparare. Si deve essere un po’ spietati. Il tipo di persona richiesta , riassumendo  in contraddizione alla filantropia delle onlus ,  è una persona che vuole diventare ricca a tutti i costi e sarebbe disposta a tutto.


Che riflessione questo studio ti ha spinto a fare sull’uomo?
La prima critica che mi viene da fare , è al sistema capitalista che ormai è entrato dappertutto ed ha cambiato le nostre prospettive e credo che in questo ambiente delle Onlus  si sia raggiunto il livello più basso. Qui si vede proprio come le persone sono disposte a fare di tutto e  si dimentica del  resto: la solidarietà tra colleghi non è un fatto  naturale, non c’è un affetto sincero se non una cosa creata dal sistema affinché le persone restino per aiutare chi sta su. Un’immagine negativa perché se uniamo questo sistema capitalista, alla precarietà giovanile e alla vendita della povertà ne esce fuori un essere umano cinico e che non guarda in faccia a nessuno. Forse è anche  un modo per chi non ha avuto tante possibilità nella vita di cercare un riscatto nella ricchezza.
L’ “ Homo Homini Lupus” applicato alla solidarietà è davvero spaventoso. Senza dare giudizi morali,  questo far leva sul bisogno può essere una nuova forma di alienazione ?
Secondo me lo è senza ombra di dubbio. Al tema centrale si affianca la precarietà giovanile, se non ci fosse, se ci fossero delle certezze,  in molti casi non si creerebbe il bisogno  di fare questo lavoro. Il problema è questa assenza di prospettive che costringe i ragazzi a rifugiarsi in queste attività. Senza precarietà questo capitalismo selvaggio non avrebbe modo di esistere. Non tutti i giovani sono così naturalmente ma  l’assenza di alternative, ti pone a scendere a compromessi. Per un istinto di sopravvivenza di memoria quasi  freudiana , ci si adatta. L’80% dei giovani di oggi continua ad adattarsi sacrificando un po’ sé stessi.
Nel affrontare questo tema ci sono stati ripensamenti e paure? Cosa pensi ora della solidarietà delle onlus?
Non ho avuto motivo di aver paura, perché descrivo una realtà. La mia riflessione è sul sistema così come è congeniato, ha queste pecche profonde e dure. Ho avuto molti ripensamenti ma alla fine ha vinto questa voglia di raccontare , una  voglia di discuterne, una esperienza vissuta in maniera diretta dove le frustrazioni che fa vivere questa attività mi hanno dato lo spunto e la forza per scrivere. Io nonostante questa esperienza sono a favore della solidarietà, credo nell’aiuto del prossimo, c’è bisogno di aiuto reciproco. Un consiglio credo sia che l’aiuto è efficace quando è più prossimo e poi mi sento di spezzare una lancia per le piccole onlus quelle che fanno fatica ad andare avanti. Bisogna aiutare perché arricchisce ma bisogna cercare di farlo in piccole associazioni e vivere in maniera diretta l’aiuto. Continuerò a credere nelle grandi onlus quando cambieranno modo di comportarsi.
Cosa è la Bellezza?     
  La Bellezza è un’attitudine. La Bellezza  si identifica con la libertà di poter rapportarsi con gli altri e con il mondo in modo puro ed armonico.  


Peppe Barra e la lunga storia d'amore con l'arpa

da "il quotidiano della Basilicata"


La lunga storia d'amore con l'arpa 



di Francesco Altavista 







Viggiano –   E’ un vero maestro di arte, dalla musica al teatro, passando per la ricerca  e lo studio; è una leggenda nata nel sud, nella Napoli grandiosa capitale europea della cultura, fa parte di quella storia comune al meridione che a tutti piace ricordare. E’ il maestro Peppe Barra  che questa ( domenica 5 agosto) sera riceverà il premio “ Arpa Popolare Viggianese”, a Viggiano nell’ambito della “Rassegna dell’arpa” . L’artista di Procida dopo la consegna del premio concederà a tutti i presenti il suo spettacolo musicale, un concerto imperdibile, una perla da custodire nel ricordo. Peppe Barra dimostrando ancora una volta la sua gentilezza ed umiltà si concede per una chiacchierata con “ Il quotidiano della Basilicata”.  
Maestro, le consegneranno il premio “ Arpa Popolare Viggianese”. Quale è il suo rapporto con questo strumento di tradizione viggianese e lucana ? Cosa ricambierà artisticamente ai presenti?
La motivazione del premio non la so. Per quanto riguarda il mio amore per Viggiano , i viggianese e l’arpa risale a molti anni fa, quando adottammo nella Nuova Compagnia di Canto Popolare l’arpa viggianese. Ed è stato sempre un ricordo bellissimo della mia memoria, quando studiavamo ed analizzavamo l’arpa e tutte le musiche che si potevano fare e strumentare sull’arpa viggianese. Vengo da poco dal “festival della Magna Grecia” , per cui nel concerto che farò a Viggiano ci saranno anche questi pezzi e poi non so cosa succederà perché quando faccio i concerti adotto sempre un atteggiamento   sperimentale con il pubblico ed escono delle belle cose, mi diverto sempre perché il mio concerto non è mai fine a sé stesso, è sempre in funzione del pubblico, sempre in rapporto  con il pubblico.
Secondo lei maestro , quale è il posto oggi della musica e della cultura di tradizione popolare?
Mi è sempre piaciuto soffermarmi sulle tradizioni, sulle canzoni e  su tutto quello che è cultura popolare. Ieri sono stato a fare una conferenza sul costume  popolare procidano.Una mia amica  che è una brava costumista del cinema e non solo  Elisabetta Montaldo, figlia del regista  Giuliano Montaldo,  ha fatto questo studio ed ha realizzato questo vestito di tradizione  procidano. Mi piace studiare ed analizzare ancora  il mondo popolare, attraverso scoperte, per esempio questo costume, che è il vestito di mia madre e mi piace ricordarla in questo modo così intenso. Devo ammettere che la cultura popolare nel sud non esiste più. Mi piace però pensare a questi giovani viggianesi che recuperano la tradizione dell’arpa, mi piace pensare che in Calabria organizzano concerti di tarantelle, a Procida vedo che si organizzano per tenere viva una tradizione. Ma la devono reinventare, perché non c’è.



La Nuova compagnia di Canto Popolare, ha fatto davvero tanto artisticamente per reinventare una cultura popolare, facendo sviluppare anche delle attività economiche,perché l’ha dovuta lasciare nel 1978?
Per me la compagnia si è estinta quando sono andato via io e  tutti gli elementi che avevano creato la compagnia, tra cui Roberto De Simone. E’ un discorso difficile, quando si è giovani non si pensa al futuro, la NCCP non pensava al futuro ma  al successo immediato ed aveva dimenticato la ricerca, aveva un po’ abbandonato  e viveva sugli allori, questa cosa non è piaciuta a me ed ad altri. Per cui sono andato via ed ho seguito Roberto in un discorso teatrale, perché la NCCP doveva sfociare in un discorso  teatrale. Doveva seguire quella strada, quello studio, hanno ritenuto di fare un discorso narcisista e non mi piaceva.
Nel 1995  lei ha partecipato al progetto del disco “ Canti randagi “, ha cantato “ Bocca di Rosa“  nella lingua da lei molto amata, il napoletano.  Come è nata questa partecipazione e questo lavoro sul brano?
 Come tutte le cose che io faccio, feci questa collaborazione  con amore. Ho avuto una telefonata da Fabrizio, ci conoscevamo è stato sempre il mio cantautore preferito, ha voluto propormi di tradurre una delle sue canzoni per il disco “ Canti randagi”.Un disco che si faceva per ricordare i pezzi di De Andrè, quando era ancora in vita. Ogni gruppo italiano e straniero ha scelto un pezzo, io ho scelto “ Bocca di Rosa”,la traduzione  fatta Vincenzo Salemme, devo dire fu  molto interessante come linguaggio.
Peppe Barra è anche grande teatro. A che punto è il teatro oggi, specie nella città della cultura Napoli?
Napoli  è  all’insegna del cattivo gusto e della cattiva politica, non sono sensibili alla cultura.. Governare Napoli non è facile, specie quando ha avuto un mal governo per tanti anni. Io cito sempre questa canzone dei Sanfedisti sempre, te la traduco : “ Napoli è come un leccalecca, ognuno viene lecca, prende  e se ne va” . Così è stato e cosi sarà Napoli. Non ci sono più autori italiani. Stiamo vivendo un periodo medievale. Napoli dopo i grandi sta vivendo un periodo ombroso, speriamo che i giovani prendano in mano la situazione, dando  un po’ di gloria a questa città che ne ha avuta tanta.  Stiamo attraversando un periodo orrendo, sia di cultura che di gusto degli italiani. Vediamo questa invadenza dei nuovi comici che a me non fanno nemmeno ridere, vediamo che la gente accorre come pazzi agli spettacoli di questi comici che calpestano il luogo sacro del palcoscenico, con noncuranza di etica e di buon gusto. Molti di questi mi fanno piangere.
Maestro , concludiamo.Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è ciò che va in armonia con il pensiero, è ciò che rende l’uomo felice ed in armonia con il creato.

venerdì 3 agosto 2012

Nabil e i Radiodervish : Contaminazione tra culture e tradizioni diverse

da " Il quotidiano della Basilicata"

Notti al castello con Nabil 






di Francesco Altavista 



Brienza –  Riparte la manifestazione  “ Notti al castello – anni ribelli” , dal tre al cinque agosto, nel fantastico borgo e castello burgentino. Ci sarà musica, mostre,teatro, divertimento ma anche  riflessione portando al pubblico argomenti che diversamente non arriverebbero. In quest’ottica anche il concerto d’apertura con i “Radiodervish”,ingresso gratuito  a partire dalle  22:30 al Fosso dello Spineto. Nabil il leader della band ma anche finissimo intellettuale, si concede  per un’intervista, in anteprima per “ Il quotidiano della Basilicata”.  
Maestro, “XL” di Repubblica è uscita il mese scorso in edicola con una raccolta dei Radiodervish. La raccolta porta un titolo particolare “ Dal Pesce alla luna”. Che significato ha questa raccolta ?
 Con questa raccolta celebriamo i nostri 15 anni di attività musicale. “Dal Pesce alla Luna” da una parte mostra  la nostra trasformazione e crescita musicale e dall’altra  ricorda anche la trasformazione di questo Paese negli anni, in quindici anni. Un confronto con la nostra storia che partiva da due mondi   oriente ed occidente  forse dialoganti ma non compenetranti come invece poi sono diventati,  in modo da offrire una nuova identità culturale e musicale, un nuovo linguaggio cantautorale mediterraneo, che è una definizione che amiamo attribuire alla nostra musica. 


In questa raccolta c’è anche un inedito “ In fondo ai tuoi occhi”. Perché scegliere proprio questo brano per anticipare il nuovo disco di inediti?
“In fondo ai tuoi occhi” anticipa il nuovo lavoro  che uscirà ad autunno, l’abbiamo voluto mettere perché è un brano attuale che racconta un po’ il nostro mondo. Nel quale finalmente si riconosce  una struttura che ha dato all’umano un   volto di  consumo, che costringe ad alimentare il sistema mangia uomini e mangia vita.  Ci sembrava il pezzo più indicato dopo averi visto  le manifestazioni nelle grandi città del mondo. E’ un disco che parla delle grandi trasformazioni, interne per noi ed esterne per il mondo con il quale interagiamo.
Maestro lei vive in Italia da tanti anni,  in queste trasformazioni come si deve comportare la nostra nazione?
L’Italia deve rendersi conto della sua vocazione , quella della fonte dell’accoglienza, di comunità mondiale . Deve seguire la sua strada di  patria di convivenza. L’Italia si deve rendere conto a cosa è chiamata, ha una posizione privilegiata nella convivenza tra diversità, potrebbe diventare esempio per il mondo. Ha questo interessate ruolo fonte di integrazione ma anche  luogo di sperimentazioni e di soluzioni.
Lei ha sperimentato,personalmente il confronto con  culture diverse, da quella araba a quella greco ortodossa e poi italiana . Come è riuscito ad accogliere queste culture e tradizioni diverse?
 Avere l’accesso e  sperimentare la poesia tra i mondi è stata possibile grazie alla contaminazione. Io non credo alla purezza delle cose, dobbiamo essere capaci di ricrearci e rigenerarci in una perenne  contaminazione. Se la propria cultura è capace di aprirsi al diverso diventa rigenerazione dell’umanità. Detto ciò durate questi anni ho capito non soltanto di  sapere di più sulla cultura del Paese  che mi ha ospitato e del quale sono diventato parte, ma mi è servita per ripercorrere  le mie origini arabe da un’altra posizione ,mi ha permesso di scoprire  delle  sfumature che non avevo notato. E’ una posizione che mi ha fatto vivere in una specie di   idillio culturale.


Maestro, come ha vissuto  la seconda primavera araba?
 Temo molto gli effetti di questa seconda primavera araba perché  già vedo i giochi di potere che puntano a rubare, a perdere di nuovo tutte le premesse della rivoluzione per le  quali in molti  hanno sacrificato le proprie vite. Ho parlato con i giovani rivoluzionari  per strada, con degli intellettuali, avevano tutti delle grandi speranze Vedere poi i risultati delle elezioni mi allarma tantissimo, temo che per la seconda volta, questa speranza venga  rubata alla popolazione
Maestro lei ha origini in una delle famiglie arabe più antiche la stessa di Maometto. Alla sua famiglia nel 1948 dopo l’istituzione dello stato di Israele,  sono stati tolti i propri  terreni, un terribile paradosso vive da anni in quelle terre….
La storia è piena di paradossi, questo è molto particolare più di 60 anni che esiste il problema, fino a molto tempo fa è stato ignorato. La cosa essenziale in questo conflitto è ricostruire una memoria storica. Bisogna ricostruire una esatta immagine storica, fatto questo si può passare ad una conciliazione, c’è tutta la buona volontà del popolo, ma si è fatto di tutto per distogliere l’attenzione da ciò che è funzionale al processo di pace.
Nabil, lei è anche stato giornalista ed ha raccontato per la televisione araba diversi eventi con occhio occidentale, tra cui l’l1 settembre. Cosa è successo per lei quel terribile giorno?
E’ prima di tutto  una tragedia umana. Poi ha cambiato il mondo, un nuovo concetto di potere mondiale, una nuova politica  di controllo sistematica del mondo. Il  potere ha avuto legittimazione popolare all’uso di nuove tattiche e  mezzi  per direzionare il mondo secondo i suoi interessi. La tragedia è stata usato per avallare i controllori al nostro mondo. Io credo che ci debba essere un altro in un modo diametralmente opposto, 11 settembre culturale per costringere il mondo a tornare  alla misura d’uomo. Il mostro chiamato mercato e finanza ha trasformato gli uomini in pile che alimentano il sistema. L’uomo deve tornare al centro della vita mondiale  e dell’interesse globale.
Concludiamo. Cosa è la Bellezza?
 La Bellezza è come una luce che illumina il buio e ci porta verso i luoghi dove il cuore e la mente si sentono in pace, in armonia. Ci porta dove ci si sente parte di una creazione  più grande che ci sprona ad essere attivi, felici. La Bellezza è la realizzazione e il compimento dell’amore.     
          


Il ciclone Simone Cristicchi

da" Il quotidiano della Basilicata"

Il ciclone Simone a Latronico 




di Francesco Altavista



Latronico –E’ sicuramente il momento più atteso del  “Festival del Benessere” di Latronico: questa sera con un concerto a partire dalle 21:30 ,  Simone Cristicchi. Quest’ultimo toccherà la terra lucana  dopo  la pubblicazione del suo libro  “ Mio nonno è morto in guerra” nel quale l’artista romano ha raccolto le testimonianze dei reduci della seconda guerra mondiale , per un’opera non storica ma di grande emozione e ricordo , da qui un nuovo  spettacolo teatrale in tournée da Ottobre e in programma un nuovo album di inediti per gennaio. In anteprima il gentilissimo Simone si concede ad un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”.    
Simone a Latronico farai entrare il pubblico nel “ Grand Hotel Cristicchi” titolo del tuo ultimo album nel 2010 ma anche del tour 2012 . Riusciranno i presenti ad uscire indenni dalle stanze del tuo hotel?
Spero di no , perché vuol dire che lo spettatore torna a casa con un buon bagaglio di parole. Il mio è un concerto che si basa sulla parola e su tanti generi musicali diversi. Come se fosse un frullatore, una macedonia del pop, in cui anche i miei musicisti, con i quali mi diverto a giocare,  si prestano al lato teatrale del mio concerto, visto che ci sono diversi monologhi all’interno del  mio spettacolo. In generale credo si vada a casa soddisfatti  di avere tanti spunti di riflessione. Questo è il mio augurio ogni volta che salgo sul palco.
Sei simile per certi versi al cantautorato nobile del passato ma dai a questa figura una nuova vitalità che ha creato un filone importante . Si può dire che con te si riaccende una speranza per questo tipo di musica?
Io dico sempre che i cantautori sono in via d’estinzione. Chiaramente ognuno di noi lavora per svecchiare una figura che risale agli anni 70 dove i cantautori erano dei veri profeti. Cerco anche attraverso la narrazione teatrale di dare un’idea di me il più possibile complessa. E’ un po’ il mio modo di intendere la figura del cantautore di oggi ma non è detto che sia quella giusta .In realtà  sono molto più un cantastorie che racconta il suo punto di vista sul mondo. Ci sono canzoni più conosciute che hanno creato un piccolo filone e mi fa molto piacere perché vuol dire che sono uscito fuori da una certa omologazione.


Quindi  il teatro che fai ormai da anni è una sfaccettatura del tuo essere cantautore?
   Sicuramente sì! Nel momento in cui si decide di raccontare una storia , puoi farlo in vari modi. Non è stato facile naturalmente passare dalla canzone al teatro, ma io ho avuto la fortuna di poterlo fare direttamente sul palco, senza frequentare  accademie di recitazione. Ho avuto questa grande fortuna di essere seguito da professionisti, da grandi registi come Alessandro Benvenuti per esempio ed avere la fortuna di potermi migliorare direttamente sul palcoscenico.
Tra le tue sfaccettature c’è anche la Radio con il programma  “ Meno male che c’è Radio Due”, arrivato al  secondo anno di programmazione. Cosa sul palco porti con te da questa esperienza?
Sono tutte cose che mi hanno arricchito. Un qualcosa che non avevo mai fatto, una sfida. Un modo per imparare anche nuove cose. Con il compito di  bravo presentatore ho fatto diverse gaffe, diversi errori che poi sono stati rigirati come qualcosa di ironico per far ridere. Ho avuto da questo programma l’occasione di conoscere grandi artisti che sono venuti ospiti e che ho potuto conoscere personalmente, duettando con loro dal vivo accompagnati da una band.
A proposito di sfide. Hai fatto un lavoro straordinario sulla musica popolare, arrivando ad un tour con il Coro dei Minatori di S. Fiora dopo aver conosciuto il grandissimo maestro Ambrogio Sparagna. Cosa ti ha affascinato di questa musica e del grande maestro della musica popolare?
Della musica popolare conoscevo pochissimo, grazie ad Ambrogio ( a cui dirò sempre grazie) che mi invitò a cantare con l’ orchestra popolare italiana  , ho scoperto un mondo affascinante di cui poi mi sono innamorato. Ho continuato con le mie gambe, conoscendo il coro dei minatori di Santa Fiora, con cui abbiamo fatto uno spettacolo. Ambrogio è stato per me un vero e proprio maestro, uno che mi ha saputo accompagnare per mano con grande passione in questo viaggio. Tutt’ora mi capita di suonare con dei gruppi di musica popolare, con Mario Incudine in Sicilia , con Erasmo Treglia in altre situazioni. Ho anche una data con Ambrogio  a Lecce quindi continua la mia collaborazione con lui che mi ha dato modo di conoscere artisti come Beppe Servillo e Teresa De Sio con i quali siamo diventati amici.


Cristicchi qualche tempo fa scriveva con l’ausilio di un personaggio immaginario Rufus. Quando e perchè questo personaggio è scomparso lasciando solo Simone?
Succedeva inizialmente perché le mie canzoni sono tutte diverse l’una dalle altre ed avevo dato un nome a questo mio alterego, delegando a lui una serie di brani fuori dalle righe, come se fossero scritte da uno spirito maligno che albergava dentro di me. Questo era un espediente dei miei primi concerti, poi alla fine le due anime si sono incontrate e fuse, convivono attualmente nei miei dischi e nei miei live. Probabilmente si sono unite per la consapevolezza e decisione di non avere  paura  di delegare a me stesso le cose che scrivevo, di fare pace con la mia anima più provocatrice.
Concludiamo. Cosa  la Bellezza?
 La Bellezza è ciò di cui ci si stupisce ogni giorno, l’importante è riconoscerla. 

La cantautrice Carlot-ta la prima volta in Basilicata

da "Il quotidiano della Basilicata"

La prima volta di Carlot-ta 





di Francesco Altavista 



Marina di Pisticci –  Il suo nome d’arte è Carlot-ta, importantissimo  il trattino dopo la “ t”  per differenziarsi  da “Carlotta” la cantante della commerciale hit  del 2000 “ Frena”.  Il suo nome completo è Carlotta Sillano, sarà , nell’ambito della nona  rassegna “ Argojazz”, nel lussuoso resort degli Argonauti  a Marina di Pisticci il prossimo due agosto a partire dalle 21:00.   Carlot-ta  classe 1990, è un’artista vera, una promessa della musica italiana anche se nel suo sound c’è davvero poco dello stivale. E’ una ventata di freschezza, una ragazza che ha tutti i crismi dell’intellettuale oltre ad essere esageratamente bella, suona il pianoforte da quanto aveva cinque anni ed ora è una polistrumentista  con il piglio della poetessa, la sua è una musica divertente e colta, dal vivo  si presenta al pubblico  sola con pianoforte, chitarra, synths , organetto e  loop station. Nel 2011 il suo primo disco “ Make me picture of the sun” (Anna the Granny records) , album  pluripremiato, una meraviglia di sonorità ed emozione, cantato in italiano, francese ed inglese è un piccolo gioiello di otto brani  tutto da amare.  Calot-ta è forza, bellezza e femminilità, ma anche impeto, studio e poesia, un’artista da conoscere  assolutamente e di cui si pregiano gli esperti organizzatori di “Argojazz”. La cantautrice di Vercelli si concede in anteprima a delle domande per “ Il quotidiano della Basilicata”.
 Prima di partite. Come ti aspetti il pubblico lucano? La prima volta in Basilicata?
E’ la prima volta che suono in Basilicata, anzi è la prima volta che visito la vostra regione. Spero di essere sufficientemente brava o almeno simpatica, da catturare l’attenzione di un pubblico che probabilmente non conosce me e la mia musica. Sono stata a suonare diverse volte al sud, in Puglia, in Sicilia, in Campania e ho trovato riscontri positivi e molto entusiasmo.



In “ Make me picture of the sun”, hai musicato i simboli di Eliot, Blake, Prévert. Perché questa scelta?  L’italiano perché è usato poco in questo disco?
Non c’è stata molta progettualità nella scrittura di questo disco che raccoglie canzoni scritte tra i sedici e i vent’anni. È tutto sorto in modo piuttosto spontaneo. La sola cosa su cui mi sono soffermata molto,anche grazie all’aiuto di chi ha collaborato alla registrazione del disco stesso è la parte musicale, la scelta timbrica e degli arrangiamenti. Mi interessa la sonorità della parola, la scelta delle poesie è stata istintiva, il disco non voleva essere un concept album pretenzioso o qualcosa di simile. Semplicemente mi serviva del materiale verbale, delle parole da cantare, e ho pensato di scegliere tra le poesie che più mi piacevano e che potessero evocare immagini simili a quelle che speravo le mie composizioni potessero suscitare. L’italiano è una lingua che amo ma chiaramente trasmette un messaggio chiaro e facilmente intellegibile, non era il linguaggio tramite cui volevo comunicare.
Il tuo è un disco che musicalmente attraversa delle fasi, c’è classica, c’è elettronica. La musica si sa, rispetto al testo è più diretta ma meno esplicita, come ti immagini il tuo ascoltatore?
Proprio come hai detto tu, la musica è più diretta e meno esplicita. Quello che io cerco dai miei ascolti è questa modalità di comunicare tramite la musica. Non mi interessa il messaggio, non voglio argomentare o raccontare una storia. Mi interessa la sensazione, evocare immagini tramite la percezione sonora. Il disco è molto eterogeneo perché, come già detto, racchiude brani scritti in un lasso di tempo piuttosto ampio, durante il quale i miei ascolti sono cambiati; probabilmente la varietà di cui parti è sintomatica della ricerca di un linguaggio personale, ricerca che spero possa concludersi il più tardi possibile.


C’è un certo fermento tra le autrici giovani e donne, penso a te e ad Erica Mou, avete anche la stessa età. Vi sentire parte di una corrente nuova? Un nuovo modo che come si dice spesso , poco italiano e anti –talenti ?
Non penso si possa parlare di una corrente. In Italia, nell’ambiente indipendente, funziona molto un certo cantautorato in cui la musica ha scarso valore e i testi cantano le generazioni. Forse le autrici donne si vogliono distanziare un po’ da questo “filone” o forse non possono fare a meno di comunicare in modo diverso. Ma proprio per questo trovano anche spazi diversi. Quello che vorrei è che l’underground italiano,coadiuvato dal suo pubblico supportasse ed esportasse anche in Europa e nel mondo occidentale i propri “prodotti”, al pari del resto dei paesi del continente. Al momento non mi sembra che questo stia succedendo ed è un grande limite del nostro sistema musicale.
Quanto si deve aspettare per il tuo prossimo disco ?
Inizierò a registrare il mio secondo disco a settembre, è difficile calcolare i tempi relativamente a queste cose, ma spero possa essere pronto ad uscire nei primi mesi del 2013. Nel frattempo continuerò a suonare; dall’inizio dell’estate, parallelamente al mio concerto in solo,quello che proporrò ad ArgoJazz sto portando in giro un live in cui sono accompagnata da un piccolo ensemble di archi, percussioni e un po’ di elettronica. Il nome del progetto live è Carlot-ta&the Sleeping Owls.
 Cosa è  la Bellezza? 
  Una bella domanda. Mi piacerebbe poterti fornire una dissertazione filosofica adeguata, ma non ne ho le competenze e vorrei darti una risposta sincera: amo molto le montagne.